* Iraq e Siria * Terrorismo Escalation. L'Africa invasa da armi «Made in China» __________________________________________________________________ Francesco Palmas domenica 22 aprile 2018 -- -- Francesco Palmas domenica 22 aprile 2018 Due terzi degli Stati fanno affari con Pechino, che sta scalzando Mosca. Malgrado i problemi di qualità, la Cina propone dispositivi “low cost” che fanno gola ai governi locali * * -- -- * * L'Africa invasa da armi «Made in China» È un gigante economico africano, con 180 miliardi di dollari di -- È un gigante economico africano, con 180 miliardi di dollari di profitti e oltre 10mila aziende attive. Parliamo della Cina, che sta proiettando sul continente nero tutta l’esuberanza della sua crescita globale, fra business, affari e diplomazia semi-armata. Pechino si appresta a diventare infatti una sorta di braccio militare del -- -- bilanci contenuti dei governi africani e al formato tradizionale dei loro eserciti. I cacciabombardieri leggeri JF-17 stanno andando a gonfie vele. Costano la metà di un omologo occidentale. Anche i droni «Made in China» stanno fagocitando intere fette di mercato, a dispetto delle critiche della Nigeria per gli scarsi risultati ottenuti nelle -- delle critiche della Nigeria per gli scarsi risultati ottenuti nelle battaglie contro Boko Haram. La Cina di Xi Jinping sta crescendo nei servizi post vendita. Ha rivisto parzialmente la politica di non-ingerenza negli affari interni degli altri regimi. Lo si vede benissimo nei conflitti attuali. Le armi leggere sono vendute senza -- -- Nell’ultimo Paese ha giocato un ruolo oscuro durante il golpe contro Robert Mugabe. I suoi blindati erano presenti negli scontri, anche perché la Cina esercita da anni una forte influenza sul paese. Guarda caso, il primo contratto dell’era post-Mugabe non ha tardato ad arrivare, siglato istantaneamente a fine 2017. Accorda un prestito di 153 milioni di dollari ad Harare, per modernizzare l’aeroporto -- -- adottata su scala continentale, almeno dal 2015, quando Xi ha promesso un piano di investimenti da 60 miliardi dollari, che potrebbero salire a 100. I beneficiari non si fanno troppe illusioni. Sanno benissimo che la Cina opera per tornaconto, non per filantropia. Ma sono pragmatici e apprezzano il fatto che abbia i mezzi finanziari delle sue ambizioni politiche, contrariamente a partner storici come la Francia. I prestiti e i doni sono strettamente vincolati al rientro delle risorse -- -- apprezzano il fatto che abbia i mezzi finanziari delle sue ambizioni politiche, contrariamente a partner storici come la Francia. I prestiti e i doni sono strettamente vincolati al rientro delle risorse investite, a tutto profitto delle aziende coinvolte. La Cina toglie con un mano e con l’altra mitiga. Se l’impronta militare si espande pericolosamente, si accompagna a un impegno maggiore nelle operazioni delle Nazioni Unite, da sempre vettore e vetrina di proiezione -- -- dello Zambia, del ferro mauritano e del famigerato cobalto del Congo e dell’Africa del Sud. Gibuti segna per la Cina la fine dell’era neutralista di Bandung. La issa al rango di potenza militare globale, con capacità di proiezione oltremare, in una vetrina in cui dominano, forse ancora per poco, i francesi, gli americani e i giapponesi. Mette Pechino in condizione di -- -- influenzare i traffici del canale di Suez, in una sorta di controllo indiretto, già suggellato dalla relazione privilegiata con l’Egitto, unico partner africano, insieme al Sudafrica, a godere dello status aureo nei rapporti con la Cina. Non paga, Pechino punta a nuove infrastrutture militari. Si parla della Namibia e della Costa d’Avorio, ultimi arruolati alla «pax sinica». -- -- infrastrutture militari. Si parla della Namibia e della Costa d’Avorio, ultimi arruolati alla «pax sinica». Perché la Cina punta ad espandersi. Ha già appoggi portuali in Tanzania e lungo il litorale est-africano. Gibuti è solo una tappa intermedia verso altri lidi, lungo l’asse per l’Africa del-l’Est, l’Africa australe e il Maghreb, aree di gravitazione principale dei commerci