Nazionalismo Made in China

di Loretta Napoleoni

A poche settimane dall’insediamento della nuova élite politica, esplode il nazionalismo cinese. Il casus belli è stato l’acquisto da parte del governo giapponese delle isole Senkaku, che in Cina vanno sotto il nome Diaoyu, un gruppo di isolette oggetto di lunghe dispute territoriali tra Cina, Giappone e Taiwan.
Nonostante molti siano convinti che nelle loro viscere ci sia il petrolio, le isole non sono preziose. Nell’immaginario collettivo cinese, però, queste sono il simbolo della dominazione giapponese. Non a caso le manifestazioni di piazza hanno assunto dimensioni pericolose proprio in concomitanza con l’anniversario dell’incidente della Manciuria, che cadeva proprio ieri. 131 anni fa le truppe imperiali giapponesi fecero saltare in aria una ferrovia cinese ed usarono questo attentato come pretesto per invadere il nord della Cina. Da allora di tempo ne è passato, ma a giudicare dalla reazione delle masse cinesi e dalla decisione del governo giapponese di acquistare le isole dai proprietari, le relazioni sino-giapponesi sono cambiate poco.
I primi a soffrire le conseguenze di questo ennesimo scontro nazionalistico tra Cina e Giappone sono i produttori giapponesi in Cina. Molti hanno chiuso le fabbriche per paura che venissero attaccate. La Canon, ad esempio, ha sospeso la produzione in ben tre impianti fino ad oggi per proteggere gli operai. La Seven & I Holding, proprietaria della celeberrima catena 7-11, piccoli empori aperti appunto dalle dalle 7 alle 11, ne ha chiusi un grosso numero nelle zone più calde, come Pechino e Shanghai. Se le manifestazioni di piazza non cesseranno è probabile che nei prossimi giorni chiuderà molti altri.
Anche le imprese cinesi sono corse ai ripari. Una grossa compagnia di trasporti in Qingdao, ad esempio, ha suggerito ai dipendenti di non recarsi al lavoro in macchina martedì per paura che il parcheggio fosse attaccato dai dimostranti.
La rabbia è esplosa anche in mare, lunedì una flotta di più di mille barche cinesi è partita alla volta delle isole in questione per protestare contro l’acquisizione giapponese. Per ora la leadership cinese non ha espresso alcuna opinione a riguardo, nè per calmare nè per infuocare gli animi, e questo in fondo è un segnale negativo.
Cina e Giappone sono le due economie più grandi dell’estremo oriente ed invece di scontrarsi dovrebbero ricucire i rapporti diplomatici. Nel 2006 e 2007 ci provarono con scarsissimo successo i rispettivi leader politici proprio dopo un incidente simile a quello attuale. A seguito della dichiarazione giapponese di voler concedere diritti di sfruttamento per l’estrazione del gas naturale in acque territoriali oggetto di disputa tra le due nazioni, 20 mila persone marciarono nelle strade di Shanghai distruggendo e vandalizzando ristoranti e negozi giapponesi.
Auguriamoci che la nuova leadership che si insedierà a Pechino a novembre abbia più successo di quella attuale nel calmare gli animi cinesi e nel conquistare quelli giapponesi.

Tags: plusvalore, nazionalismo, cina, giappone, petrolio

(Keystone)

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